HomeFotografiaParis de nuit

Paris de nuit

La prostituée russe au billiardeConoscevo Brassaï quasi di “vista”, avevo guardato di tanto in tanto il suo lavoro senza mai effettivamente soffermarmi con attenzione sulle sue fotografie. In una sera di pioggia, a Roma, il mio amico regista Ferdy mi parlò di una certa sua ricerca all’università su di lui. Si può dire che da quel momento, grazie a Ferdy, ho fatto “amicizia” con Brassaï, una grande amicizia, credo, se non posso entrare in un pub o guardare un graffito sul muro senza inequivocabilmente pensarlo.

La fotografia non è stata il suo primo amore; Brassaï, in realtà, amava scrivere e dipingere.
Trasferitosi a Parigi nel 1925 dall’Ungheria, comincia a frequentare scrittori e registi famosi come Henri Michaux, Raymond Queneau, Leon-Paul Fargue, Robert Desnos, Jacques Prevert e Pierre Reverdy.

- Advertisement -

Ama gironzolare per le vie della Parigi notturna, soprattutto in compagnia dell’amico Henry Miller, autore del Tropico del Cancro. Tra un’avventura e l’altra, resta folgorato da quel mondo che si sveglia con l’oscurità a tal punto da desiderare di fermarlo, di catturarlo per sempre. Si rivolge all’amico Kertezs per farsi prestare la sua macchina fotografica e, in seguito, per imparare la fotografia notturna.

Kertezs sarà per Brassaï un po’ come un mentore, anche se i due avranno un destino differente: Brassaï raggiungerà quasi subito il successo e un posto tra i grandi della fotografia, per Kertezs le cose non andranno subito benissimo, ma questa è già un’altra storia; ritroveremo Kertezs nelle prossime puntate, non più a Parigi, ma tra i grattacieli di New York.

La prima opera pubblicata da Brassaï è Paris de nuit del 1932, una raccolta d’immagini lungo la Senna, sotto le arcate dei ponti, sotto la pioggia di una Parigi animata d’artisti, clochards, bruti, prostitute e ballerine. Una città che di notte si leva la sua maschera borghese fatta di valori e convenzioni sociali, che dormono dietro le sue porte e le sue finestre chiuse.

L’occhio di Parigi, come lo definì l’amico Henry Miller, cattura istanti di quotidianità tra le ombre, nei volti della gente che frequenta locali e caffé. Ed è proprio il proprietario di un antico caffè parigino, visti i suoi scatti, ad invitarlo ad entrare e documentare l’ambiente e le situazioni che più lo ispirano.

La foto Couple à la Quatre Balle de la Danse des Saisons, Paris 1932, è tratta dalla raccolta. Si vedono due amanti seduti ad un tavolo, due bicchieri forse di cognac francese e i loro volti in parte riflessi dietro uno specchio. L’azione è serena, felice. Immaginiamo che il tutto sia avvenuto dopo una giornata di lavoro e di fatica per la vita diurna, finalmente ora ci si può rilassare, bere qualcosa, sorridere all’amante. Un istante, semplicemente un momento che riassume tutta la serata, il momento culminante della serenità dei due.

La notte è fatta anche e soprattutto di ombre e di personaggi strani; l’occhio di Brassaï cattura ogni cosa, come  La prostituée russe au billiard dietro lo specchio.
Per capire il ruolo degli specchi nella fotografia di Brassaï citiamo un estratto dal romanzo Buongiorno mezzanotte di Jean Rhys, ambientato nella Parigi degli anni Trenta. “Bene, bene, dice lo specchio alla protagonista. L’ultima volta che ti sei specchiata qui dentro eri diversa, vero cara? Ci crederesti se ti dico che, di tutte le facce che vedo riflesse in me, ricordo tutto di ognuna e conservo di loro un fantasma da ribattere in faccia con delicatezza, come un’eco, quando si torna a guardarci dentro”.
In altre parole, se Brassaï con le sue foto non giudica, anzi i suoi soggetti sono spesso allegri, gli specchi dietro di loro riflettono ciò che non si vede, indicano il fluire del tempo, “portano testimonianza e serbano rancore”.

Uno specchio come la fotografia va oltre le apparenze; per riprendere la definizione di Holmes, la fotografia si comporta proprio “come uno specchio con la memoria”.

Il nostro pub, da cui sono partite le riflessioni su Brassaï, è pieno di specchi che ci mostrano quello che noi non possiamo vedere. Tutto ciò che la fotografia non dice, ma al limite suggerisce, costituisce un altro elemento di fascino e mistero in Brassaï.

Noi usciamo dal pub, come probabilmente avrà fatto lui settant’anni fa e cosa troverà dietro l’angolo ad aspettarlo? Lo vedremo nel prossimo episodio.

Diego Pirozzolo

Articoli correlati:

Dialogo con la fotografia. Nella notte di Brassaï

Dai marciapiedi di Parigi a “The Open Door” di William Henry Fox Talbot: giochiamo con le ombre

Bill Brandt, ai confini tra il reale e il surreale

La fotografia come avanguardia artistica del Novecento

Alfred Stieglitz

- Advertisement -
- Advertisement -

MOSTRE

- Advertisement -

LIBRI